Parrocchia, ricupera la festa

Parrocchia Missionaria

Dobbiamo ricuperare – noi cristiani per primi – il senso vero della festa, il cui significato più nobile si può definire “il tempo della creatività”


Nei calendari civili ed ecclesiali le feste un modo per tener viva la memoria di fatti e persone significative e celebrare, nella tradizione che continua e si rinnova, l’identità di un popolo. Sono così le festività in cui si onora il santo patrono o come a Ferragosto la Madonna.
È già festa il tempo dell’attesa, il fervore dei preparativi, poi la gioia di ritrovarsi ancora insieme, la devozione a Maria e ai Santi del posto… Oggi, però, la realtà della festa si è mutata, soprattutto nel campo giovanile, che non la vive più come espressione di valori e di simboli culturali-civili-religiosi, ma come momento di divertimento fine a se stesso.
Dobbiamo ricuperare – noi cristiani per primi – il senso vero della festa, il cui significato più nobile si può definire “il tempo della creatività”: ci si stacca dalle preoccupazioni quotidiane, si sospendono le cose ordinarie e si liberano le risorse, solitamente imprigionate entro schemi ripetitivi e scontati.
La festa fa esplodere la voglia di vivere e celebra la meraviglia nei confronti dell’esistenza (nostra e degli altri). Ogni festa diventa allora un momento sacro, perché favorisce l’umanizzazione più completa della nostra vita.
Per vincere il senso della noia e dell'indifferenza non servono esperienze in cui il tempo libero è gestito secondo la logica del piacere sensoriale emotivo, escludendo la dimensione culturale e spirituale; è bene, invece, ritrovare la dimensione dello stupore infantile (Gesù invitava ad “imparare dai più piccoli”).
La festa serve a costruire ponti di comunicazione e di interscambio col tessuto sociale. Contro la tendenza a stare da soli, per vincere la tentazione subdola e pericolosa di isolarsi, è meglio uscire per incontrare l’umanità di cui è ricco l’altro. Sappiamo quanto sono difficili le relazioni interpersonali; magari abbiamo provato anche a ricevere delle ferite affettive nel nucleo della nostra intimità; eppure nella festa del “figlio prodigo ritornato” scopriamo il valore di una comunità capace di condividere gioie e dolori, allontanando lo spettro di situazioni particolarmente gravi che, vissute isolatamente, generano crisi e, talora, tragedie.
La festa è bella nella misura in cui ci si prende cura gli uni degli altri, cogliendo il valore sacro dell’ospitalità. Far festa, allora, vuol dire prendere coscienza di tutto ciò che siamo e di tutto ciò che abbiamo ricevuto; è dire grazie a chi ci vuole bene; è prendersi una zona franca dal dolore e dalla stanchezza di tutti i giorni; è dire sì all’incommensurabile dono della vita! 
 

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